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Al teatro Sannazzaro a Chiaia, in scena da ieri e fino a domani 2 febbraio, lo spettacolo del regista Marcello Cotugno ” 2084 l’anno in cui bruciammo Crome”. Una visione su un futuro prossimo, una realtà immaginaria ed inquietante “forse” già presente.

REDAZIONE PINO ATTANASIO

DIRETTORE RAFFAELE CARLINO

MARCELLO COTUGNO regista ed autore

Il bel testo dell’autore, che ne firma anche regia, colonna sonora e progettazione grafica, è egregiamente portato in scena dagli attori Francesco Maria Cordella, che ha lavorato con registi del calibro di Robert Wilson ed è tra gli storici attori dell’Arlecchino di Strehler, Nadia Carlomagno, che vanta collaborazioni con registi come Ettore Scola e Alfonso Santagata, e i giovani e talentuosi Graziano Purgante, Sveva De Marinis, Arianna Cremona e Onorina Della Rocca. Nel cast, anche Paolo De Vita, reduce dal successo della serie Disney Qui non è Hollywood. Le scene sono firmate da Assunta La Corte, i costumi da Irma Ciaramella, le luci ideate da Pasquale Mari, la progettazione grafica e video da Francesco Domenico D’Auria, le coreografie curate da Valeria Apicella e l’aiuto regia e la collaborazione alla drammaturgia da Marta Finocchiaro e Arianna Cremona. La produzione è del teatro Sannazaro con la collaborazione di ACTS e del Master in Arti Performative Teatro Pedagogia e Didattica dell’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli diretto da Nadia Carlomagno.

DA SX FRANCESCO MARIA CORDELLA , PAOLO DE VITA E NADIA CARLOMAGNO

Lo stesso autore e regista Marcello Cotugno  racconta :

 la mia ultima opera “2084 l’anno in cui bruciammo crome” può considerarsi come il capitolo conclusivo di una ideale trilogia sul futuro e sulla famiglia, due temi che ho iniziato a esplorare sin dall’anno 2000.

In quell’anno, continua il regista, scrissi e diressi Anatomia della morte di… (vincitore del premio “7 spettacoli per un nuovo teatro per il 2000”, indetto da Mario Martone, allora direttore del Teatro Argentina di Roma), un testo che analizzava il disagio di un giovane uomo, suicida a causa del conflitto con i genitori e la società alle soglie del terzo millennio. La tecnologia, in Anatomia… era presente con due megaschermi collegati per tutta la durata dello spettacolo (con tecnologia ISDN), e rappresentava un ulteriore personaggio sulla scena, importante al pari degli attori protagonisti e cruciale negli snodi della storia. Molti anni dopo, nel 2017, con Liquido, ho affrontato lo stesso tema dal punto di vista dei padri, immaginando una famiglia in cui fosse il padre ad abbandonare le figlie, colpevoli di aver contribuito, col loro cinismo, a rovinargli la vita. Deus ex machina tecnologico, una apparentemente miracolosa terapia riabilitativa simile a quella, di origine militare, chiamata deprivazione sensoriale.

Con 2084 la mia ricerca ha assunto una nuova forma. Il progetto è nato come evoluzione del percorso di ricerca avviato da qualche anno nel Master in “Teatro Pedagogia e didattica. Metodi, tecniche e pratiche delle arti sceniche” dell’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, diretto da Nadia Carlomagno. Partendo dall’ispirazione del titolo mutuata da Orwell, la mia scrittura si è nutrita di letture e visioni di un futuro sempre più presente, segnato dall’egemonia non solo economica, ma anche culturale della Cina.

Libri come Il problema dei tre corpi di Liu Cixin, Red Mirror di Simone Pieranni, Snow Crash di Neal Stephenson (dove per la prima volta compare il termine “metaverso”) o i documentari Stay Awesome China! di Winston SerpentZA Sterzel, 24 City di Jia Zhangkee, sono stati una finestra su un mondo, quello cinese, pieno di contraddizioni e di fascino. Da questo è nato un azzardo narrativo, 2084, che gioca con i codici della fantascienza per provare a raccontare in che mondo potremmo vivere tra soli sessant’anni.

Nel testo, l’Occidente è stato colonizzato culturalmente dalla Cina, i termini di uso comune mutuati dall’inglese sono stati sostituti da analoghi cinesi, lo Stato impone un controllo massiccio sugli individui, il metaverso è l’unico orizzonte in cui si possono vivere esperienze “autentiche”, perché la realtà è segnata soltanto dall’alienazione.

In questo scenario, la disumanizzazione della società fa da sfondo alle tensioni familiari: Perseo, Atria e i loro due figli, Izàr e Alhena (nomi di quattro stelle), si dimenano in questo ecosistema che a tratti ci appare familiare e a tratti distopico e incomprensibile, cercando ognuno un senso e una direzione alla propria vita in bilico.

Nel passaggio dall’approccio relazionale delle scene nell’interno familiare a quello brechtiano dei monologhi-racconto dei protagonisti, per poi arrivare fino a una dimensione concettuale e astratta, lo spettacolo cerca di fondere registri e stili differenti. La tecnologia, che manifesta la propria invasiva presenza anche e soprattutto attraverso le proiezioni del metaverso, è pensata come elemento che non mette in discussione, ma si integra in maniera organica con la natura teatrale del progetto, contaminandola in una nuova e contemporanea sintesi di linguaggi narrativi.

Anche la ricerca musicale è di fondamentale importanza nella costruzione della narrazione: la colonna sonora utilizza esclusivamente band e musicisti cinesi e asiatici, da Omnipotent Youth Society, un gruppo cult di Qinhuangdao (la città dove, dal mare, sorge la muraglia cinese) a Dj Desa e Isky Riveld, DJ indonesiani autori di funkot, musica dance che ha radici nelle discoteche degli anni ’70, per finire a Dj TIK TOK, nomen omen.

2084 si rivolge anche a un pubblico di giovanissimi, non solo attraverso la rappresentazione dei social e del gaming come parti integranti della vita dei protagonisti, o attraverso la riflessione su fenomeni sempre più presenti nel nostro presente, come la dipendenza digitale, le criptovalute, l’intelligenza artificiale, gli NFT, ma anche affiancando nuovi linguaggi ai codici teatrali tradizionali, nella consapevolezza che il teatro è un’arte viva, che può e deve trasformarsi al passo con una società che cambia.

di Marcello Cotugno

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