Comitato Promotore Referendum Eco Villaggio ROM
La vicenda del referendum sull’ecovillaggio ROM approda nelle aule giudiziali.
L’iniziativa del referendum consultivo comunale contro la realizzazione di un campo ROM sul territorio giuglianese è nata da un gruppo di cittadini da sempre accorti alle esigenze della città, ma sin dalla sua costituzione ha trovato l’appoggio dei partiti di opposizione. Il comitato promotore ha depositato oltre 5mila firme di richiesta di referendum, ma il Consiglio comunale, tenuto a valutare l’ammissibilità del quesito referendario non è mai stato convocato, usando pretestuosamente un parere del Prefetto, sulla inammissibilità dello stesso, perché “lesivo dei diritti umani”, ledendo di fatto, con tale atto, “l’umano e sacrosanto diritto” del popolo di esprimere parere su ciò che riguarda il suo territorio.
Si ha forse paura di sapere cosa pensa il popolo giuglianese sulla presenza, che gli è stata imposta, dei ghetti che vogliono far passare per soluzione di un problema che grava sulla sicurezza e salute della città?
Il prossimo 8 di febbraio, è stata fissata la prima udienza in merito alla sospensiva degli atti impugnati dal comitato referendario. Siamo certi che i giudici sapranno dare voce ai cittadini che chiedono semplicemente di esprimere la propria opinione, a dispetto di chi vuole far passare tale forma di democrazia diretta come sintomo di intolleranza, cercando con ciò di distogliere l’opinione pubblica dalla realtà dei fatti.
I GIUGLIANESI NON SONO CONTRO I ROM, SONO CONTRO I CAMPI ROM.
I campi non li vogliono per primi quella parte di popolazione ROM che crede e spera in un’integrazione completa nel tessuto sociale cittadino; li vogliono invece quella parte di popolazione ROM dedita alla delinquenza, la mano che accende i ben tristi “fuochi”; ben consci, sia i primi che i secondi, che il campo non è altro che un ghetto senza Dio e senza regole.
I campi non li vogliono gli onesti operatori economici della zona, quelli che già in ginocchio per la crisi economica, più patiscono le incursioni malavitose, furti e rapine giornalieri da parte di chi impunemente abita quelli già esistenti; li vogliono invece quelle associazioni di “volontariato” che sono vere e proprie “imprese” e che per anni hanno gestito i campi, con appalti sulla cui legittimità ci sarebbe da aprire uno squarcio.
I campi non li vuole l’Europa, che definisce sarcasticamente l’Italia “il paese dei campi”, e nei cui confronti ha già più volte minacciato procedura d’infrazione; li vuole invece quella parte della politica locale che specula sulla vicenda, perché non in grado di trovare la soluzione, e perché interessata a mantenere lo status quo.
Quali promotori del referendum, richiamiamo l’esigenza di politiche amministrative (e anche di misure di ordine pubblico) sagge e prudenti, intelligenti e razionali, perché gli effetti negativi dei campi, ci sono e li paghiamo ogni giorno sulla nostra pelle e si devono a tante cause, ma la prima e determinante è rappresentata dall’assenza di programmazione. Non si può più agire con superficialità e irresponsabilità: le possibilità di accoglienza, se ci sono, vanno attentamente valutate, ponderate e, soprattutto, preparate e calibrate nei tempi, nei modi e nei luoghi, e non con decisioni personali e dittatoriali, da parte di chi ritiene la “Casa Comunale cosa propria”, perché dal punto di vista economico sono una bella spesa per il Comune, perché sono luoghi di sospensione dei diritti umani, che rendono impossibile l’inclusione sociale, che creano disagi al resto della cittadinanza e che alimentano nella pubblica opinione un clima di ostilità verso le comunità rom;
MA IN FONDO PERMETTONO DI PROCRASTINARE IL PROBLEMA.