Compagnia gli Ipocriti presenta Massimo Ranieri in Teatro del Porto
versi, prosa e musica di Raffaele Viviani
con
Ernesto Lama, Angela De Matteo , Gaia Bassi, Roberto Bani,
Mario Zinno, Ivano Schiavi, Antonio Speranza, Francesca Ciardiello
l’orchestra
pianoforte Ciro Cascino, contrabbasso Luigi Sigillo, fiati Donato Sensini,
violino Sandro Tumolillo, tromba Giuseppe Fiscale, batteria Mario Zinno
elaborazioni e ricerche musicali Pasquale Scialò
scena e costumi Lorenzo Cutuli, disegno luci Maurizio Fabretti,
coreografie Giorgio De Bortoli
regia Maurizio Scaparro
Dopo il successo di Viviani Varietà, Massimo Ranieri e Maurizio Scaparro affrontano ancora una volta il grande drammaturgo Raffaele Viviani.
Con questo spettacolo si è voluto rendere omaggio all’opera del grande drammaturgo con le sue poesie, parole e musiche. La Napoli che viene portata in scena è la stessa cui, già cent’anni fa, Viviani guardava con amore e ironia, descrivendola con crudo realismo e squisita sintesi di linguaggio.
Ad essere rappresentata è la teatralità degli emigranti, degli zingari, dei pescatori, dei guappi, dei gagà, delle cocotte, delle prostitute, insomma, il mondo della strada ovvero quel mondo che per primo e più fortemente colpì la fantasia dell’Artista. Una gran folla di personaggi e di figure, veri e propri blocchi umani e sociali, popolano le sue opere; Viviani analizza ed esprime questo mondo dal di dentro, realizzando una serie di ritratti di sconvolgente evidenza drammatica poiché sono uomini e donne «comuni» che non nascondono nulla e rivelano fino in fondo la tragica verità della loro esistenza.
Un motivo di costante ispirazione è l’emigrazione, la sorte nera degli esuli. Gli emigranti! Questi personaggi che hanno riempito delle loro penose vicende di fatiche e di dolore decenni della storia d’Italia, entrano realisticamente nella letteratura popolare grazie al contributo di questo grande poeta e commediografo napoletano.
I contadini, gli artigiani, gli operai, sradicati dal loro ambiente naturale, costretti ad espatriare, lo fanno con dolore e angoscia, avendo piena coscienza che se le cose andassero in maniera giusta, essi troverebbero da vivere nel loro paese, non si venderebbero come schiavi, in terre sconosciute e infide, sfruttati da padroni spietati.
E anche i guappi di Viviani sono personaggi senza eroismo e privi dì spirito avventuroso e cavalleresco; il loro segreto obiettivo (neppure tanto segreto, in fondo) è quello di trovare una sistemazione, un lavoro, un vero e normale lavoro. Viviani, tuttavia, osserva anche l’altro lato del problema e vede l’uomo di malavita, il vero camorrista magnaccia, mariuolo, violento, sopraffattore, frutto anch’esso di una società dominata dalla legge dell’arbitrio e del privilegio.
In questo caso il suo sguardo si appunta con spietata acutezza sul personaggio e il ritratto che ne sorge è di una verità inquietante.
E infine le donne di Viviani. Sono popolane semplici, argute, sensuali, spicciative e non si pongono angosciosi problemi sentimentali da risolvere; si tratta di donne schiette, popolane che vivono nella strada: fruttarole, sarte, lavandaie, «capere», venditrici ambulanti che suscitano e sentono amori e desideri concreti.
Gli amori, nella poesia e nel teatro di Viviani, si svolgono all’aperto, sotto il sole della città, nelle campagne infuocate o vicino al mare. Ma c’è anche l’amore «fatto in casa», nei bassi sordidi, pieni di gente così come c’è l’amore struggente delle prostitute, che hanno bisogno di calore e di protezione, che vogliono illudersi d’avere al loro fianco un uomo pronto a menare le mani per farle rispettare: Bammenella è una di queste.
Le storie raccontate da Viviani, insomma, sono storie di miseria, di soprusi, di amori, di famiglie in rovina, di emigrazione eppure attraverso le parole, poesie e musiche risultano attuali oggi come all’epoca e sembrano accompagnare lo spettatore verso il presente, anzi, verso il futuro.